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Strumenti Musicali dell'India

Sitar

Il Sitar è per molti l’icona della musica indiana. La struttura e la qualità tonale di questo strumento è il risultato di diversi anni di duro lavoro e dedizione da parte dei musicisti e dei liutai, che l’hanno reso col tempo quasi un altro strumento rispetto al proprio archetipo. Gli artigiani, tra cui Hiren Roy, Radha Krishna Sharma, Kanhailal ed Hemen di Calcutta, Rikhi Ram a New Delhi e le botteghe di Nithai Chandra Nath e Radhey Shyam Sharma a Benares, producono a tutt’oggi i migliori Sitār sul mercato.

Il termine Sitar è di origine persiana e significa 'tre corde’. La nomenclatura ci aiuta a chiarire ancora una volta le origini comuni della musica, trovando una relazione fonetica tra il chitravīṇā del tempo di Bharata Muni con la cetra greca, il githara del Nord Africa, il kouitra algerino, il kitra del Marocco, il sehtar persiano e la chitarra moderna, in cui la radice comune “tar” indica la presenza di una o più corde.

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Per quanto riguarda l'origine del Sitar esistono varie ipotesi, eterogeneità d’opinione dovuta al tipico scontro tra tradizione, accademismo e politica. Alcuni danno credito alla leggenda secondo la quale fu Amīr Khusro della corte di Allaudin Khilji che inventò per primo questo strumento, mentre altri ritengono invece che sia la Tritantrī Vīṇā o Kachapī Vīṇā che debba essere considerata come progenitore del Sitar*. Sta di fatto che per potersi orientare tra le varie innovazioni stilistiche introdotte in quel periodo, bisognerebbe comprendere l’influenza mussulmana delle culture persiane, turche e centro-asiatiche, presenti in tutta l’India settentrionale dagli inizi dell’ottavo secolo sino al quindicesimo secolo**, le quali hanno dato alla musica, alla letteratura e all’arte degli stimoli caratterizzanti che, tra l’altro, sottolineano le vette estetiche odierne. Il lignaggio di Vilayat Khān, la Imdādḵẖānī Gharānā, va riconosciuto per i contributi dati allo strumento sia per le modifiche strutturali che per l’introduzione di stili e di standard esecutivi della musica strumentale. La prima modifica, introdotta da Masīd Khān, fu l'aggiunta di due corde alle tre preesistenti e l’introduzione dello standard compositivo per le composizioni lente dette Masīdkhānī o anche Masitkhānī. A questo lignaggio viene associato anche l'altro stile fondamentale nelle composizioni veloci detto Rezākhānī. Orientativamente nel 1925, venne aggiunta una seconda zucca sul manico che probabilmente Vilayat Khān eliminò, nel 1930 vennero aggiunte le due corde ritmiche dette cikārī e nel 1945 l’introduzione di altre due corde basse (che, di nuovo, probabilmente vennero eliminate da Vilayat Khān) e delle corde simpatetiche permetteranno di superare alcuni limiti nell’affrontare l'Ālāpa e di aumentare la gamma sonora dello strumento.

 

L'epoca d'oro del Sitar va inquadrata tra gli anni cinquanta e gli anni ‘ottanta del secolo scorso grazie a i grandi maestri come:

e molti altri che hanno contribuito a dare al Sitār un posto speciale nel mondo della musica a livello internazionale.

Per la realizzazione del Sitar, dal manico (dandī) al piano armonico (tablī), dalla giuntura (gullu) sino alle chiavette (kutī), vengono utilizzati principalmente due tipi di legni: il palissandro ed il teak. La lunghezza totale del Sitār è di circa centoventi centimetri, il manico è lunga circa novantadue centimetri e larga circa nove o dieci centimetri. La cassa di risonanza viene invece realizzata da una zucca essiccata e sezionata longitudinalmente, sopra la quale viene montato il piano armonico. Sul piano armonico vengono fissati due ponticelli, entrambi realizzati in corno di cervo o in osso, uno per le corde principali e l'altro più piccolo, per le corde di risonanza. Ci sono sei o sette corde principali e da undici a tredici corde simpatetiche. Queste corde che si estendono per tutto il manico sono fissate su una cordiera uncinata detta langot, che viene fissata all'estremità inferiore del corpo. Le corde principali passano attraverso un altro ponte chiamato Meru, per essere inserite nelle chiavette principali dette kunti; le corde simpatiche passano attraverso dei piccoli fori rivestiti in corno o in osso, che si trovano sotto il manico del Sitār, per essere inserite nelle rispettive chiavette interne al manico, dette taraf tar kunti. Le due corde ritmiche dette cikārī poggiano su due piccoli pioli in osso o in corno detti cikārīkil.

Il modo in cui viene modellata la superfice (javarī) del ponte principale del Sitar (ghurach o ghoraj), e del ponte utilizzato per le corde di risonanza (chota ghurach o chota ghoraj), determina le caratteristiche timbriche dello strumento. Di conseguenza, l’arte di saper dare a questa superfice una forma esatta, in modo tale che il punto ed il modo in cui le corde si appoggiano sul ponte rispecchino la volontà timbrica del sitarista, determina un’enorme differenza tra un maestro di liuteria ed un shopkeeper. Il termine javarī, che va ad indicare la superfice del ponticello, deriva dal termine sanscrito jīva, il che va a suggerire che il luogo dove risiede l’anima individuale di ogni strumento.

Il numero di tasti varia tra le diverse scuole, presentando sino a venti tasti fissati con del filo sul manico, che possono essere mossi per calibrare ogni singola nota sulla posizione degli ṥrutī*** del Rāga di riferimento. Per la regolazione precisa dell’intonazione vengono utilizzate tre o quattro ovoidali forati detti manka, a volte decorati a forma di cigno, all’interno dei quali viene fatta passare la corda. Muovendoli di pochi millimetri in su o in giù, con una funzione simile alle vis d'accord fin del violino, i musicisti riescono ad affinare l’accordatura e far risplendere le risonanze degli armonici prodotti dalle consonanze delle corde.

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In genere sono disponibili due modelli: uno è il modello “Ravi Shankar”, molto decorato con intarsi in legno, con cinque corde principali, di cui due corde basse che aggiungono un’ottava grave allo strumento, due corde per i cikārī, un manico un po' più ampio e appena più pesante ed una zucca extra, montata nella parte superiore del manico, che fa da monitor per l’esecutore. L'altro è il modello “Vilayat Khān”, di dimensioni appena più piccole ma con un piano armonico più spesso, rimane molto sobrio e minimale, privo di decorazioni viene detto anche mundasitār. Un terzo stile è quello “Nikhil Banerjee”: con un manico più largo del modello “Ravi Shankar” ed un piano armonico spesso come nel modello Vilayat Khān, monta un piccolo ponticello fissato appena sotto il ponte superiore (meru), ovviando ad un problema di diapason che si verifica per le corde basse.

Per pizzicare le corde del Sitar viene utilizzato un plettro chiamato mizrab che viene indossato sul dito indice della mano destra e durante l’esecuzione il sitarista siede sul pavimento in una posizione yogica chiamata ardhagomukhāsana.

 

 

*Un liuto menzionato da Śārṅgadeva (XIII secolo) nel trattato musicale intitolato Saṅgītaratnākara.

**Ma non bisognerebbe negare che questa influenza culturale, anzi questo scambio culturale tra l’India ed il Medioriente continui con naturalezza, senza che nessuno se ne preoccupi. Al di là delle pericolose chiacchere politiche, gli oggetti culturali come la musica, il cinema, la cucina, la moda, l’artigianato, etc., continuano a fluttuare leggeri tra i confini.

***I microtoni nella musica indiana caratterizzano melodie diverse suonate sulla medesima scala modale, infatti possiamo dire che sul Sitar si accordano sia le corde che i tasti.

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